Che questo Natale ci metta in cammino verso gli inermi, i disarmati e i vulnerabili.

Nascere non basta. È per rinascere che siamo nati.” (Pablo Neruda, Nascere non basta)

Carissime e carissimi,

ripercorrendo questo aspro periodo, mediaticamente conteso tra due guerre, quella d’Ucraina e quella di Palestina – ma sono le due di cui siamo più informati, ve ne sono decine d’altre di cui non ci giunge quasi notizia – due cose in certo modo contraddittorie ci sorprendono: da un lato il clamore dato ad ogni singola emergenza, che per giorni e settimane, se la notizia è davvero importante, rimbalza ovunque, dai social alle tv alla carta stampata, e dall’altro il movimento opposto di repentina rimozione collettiva, e ugualmente mediatica, con cui ogni singola sciagura è archiviata, perché si possa, forse con sollievo collettivo, passare ad altro. Di norma ad altra catastrofe, o ad altra emergenza in grado di smuovere e se possibile polarizzare le passioni.

Ne è un esempio gigantesco la guerra in Ucraina, trattata negli ultimi mesi via via con maggiore superficialità, quando non del tutto passata sotto silenzio dai nostri media, e quando anche affrontata in qualche residuo trafiletto o servizio televisivo ridotta a piccolissima cronaca di folklore.

È una gestione tutta emotiva dell’antroposfera, evidentemente determinata da ciò che è in grado o no di attrarre interesse e coinvolgimento collettivi, e contemporaneamente è un sistema perfetto per renderci anodini, asettici e in fondo profondamente ignoranti delle disgrazie nostre e altrui: “Distracted from distraction by distraction”, come cantava il poeta T.S. Eliot in “Four Quartets”.

Non facciamoci illusioni, volteremo tra breve anche la pagina della guerra in Palestina, che sia risolta o meno questa tragedia enorme col suo carico di lutti e rovine destinate a propagarsi per generazioni, per passare ad altro.

È una cosa che provoca un ottundimento dei sensi. E con l’ottundimento, una deformazione del nostro campo percettivo, da cui sparisce presto o tardi la cognizione del dolore altrui e talvolta persino del nostro. Subentra una sottile indifferenza, che ci rinchiude in bolle sempre più piccole e anguste, che un po’ ci proteggono, ma di più ci imprigionano, e separandoci l’uno dall’altro e dalla vita ci rendono tutti ben più controllabili.

La verità è che alle esigenze della vita umana la nascita biologica non basta affatto. Occorre rinascere, come cantava Neruda, e farlo ogni giorno. Ma di questa rinascita è ostetrico lo sguardo dell’altro fisso su di noi.

In fondo non siamo autenticamente soggetti sin quando lo sguardo altrui, come “muto appello” alla responsabilità di noi per lui, non incontra il nostro e non ci individua, e non ci pone, come scriveva Lévinas, “all’accusativo”. Non “tu per me”, ma “io per te”, lì, davanti al suo volto, individuati nella nostra responsabilità per o contro di lui. Ma per questo occorre allargare, non restringere il campo percettivo, lasciarci toccare e giungere all’immedesimazione.

Io credo che uno dei significati universali del Natale sia proprio in questa parabola della profondissima immedesimazione nell’inermità dell’altro, il Totalmente Altro, con me, con noi, e con l’intero creato. Un’immedesimazione che svela il modo umano di rinascere: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini”. (Filippesi 2, 5-7). Se vita è estasi, uscita, esodo dalle anguste barriere dell’io simbiotico e indifferenziato verso la vita adulta, allora immedesimarsi e provare compassione per tutto ciò che esiste è un modo, forse il solo umano, di abitare la realtà e venire, tornare potremmo dire, alla luce.

Che questo Natale, care amiche e cari amici, ci doni la compassione, e ci metta in cammino verso gli inermi, i disarmati e i vulnerabili che ce la portano in dono: “In definitiva, la nostra forza come comunità, a qualsiasi livello di vita e di organizzazione sociale, poggia non tanto sulle nostre conoscenze e abilità personali, quanto sulla compassione che mostriamo gli uni verso gli altri” (Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dall’Harvard World Model United Nations, 17 marzo 2016).

Antonio Finazzi Agrò, presidente de La Nuova Arca