Non c’è altro modo di ereditare la terra e conservare la vita che custodendo legami.

Carissime e carissimi, penso che non si comprendano bene la Pasqua cristiana e la sua simbolica se non vi si rintraccia, più che una blanda narrazione religiosa che in fondo ci consola ma non ci trasforma, la speranza, la fede vorrei dire, in uno scuotimento dei fondamenti del mondo, in un possibile rovesciamento dei fuochi prospettici, delle logiche e dei poteri che dominano la storia: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» non è affatto un bonario viatico propinato ai poveri per renderli innocui; è invece il canto di insubordinazione, pacifico e gioioso, che Luca pone sulle labbra della fanciulla di Nazareth, e che colloca la vicenda di Gesù il Galileo nella luce di Pasqua dall’inizio alla fine.

La verità è che cerchiamo tutti la vita: natafuta maisha, come ho sentito ripetere decine di volte in Tanzania, proprio di recente, da povere contadine madri di bambini con disabilità, per spiegare perché viaggiavano, perché si spostavano dai propri villaggi, perché finivano spesso arenate in tuguri indegni nelle grandi città. Natafuta maisha, cerchiamo la vita.

Ma come non riconoscere che, complessivamente e come massa umana, la cerchiamo nel modo sbagliato, nei luoghi sbagliati, dominati come siamo dall’angoscia e dall’istinto di morte?

Cerchiamo la vita nella forma del controllo, del potere, del dominio sul prossimo e dell’accaparramento di beni, perché a questo ci guida il sangue e l’istinto, convinti come in fondo siamo che l’altro sia soprattutto vincolo e limite al nostro desiderio di espansione vitale. E così disperdiamo legami, bruciamo relazioni e, rompendo ogni alleanza col prossimo, seminiamo ovunque guerra e ingiustizia. Certo bisogna farne di strada, cantava De André, per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni…

E invece la vita ci è così a portata di mano! C’è un altro modo, indubbiamente c’è. Esiste un piccolo, sovversivo popolo di disponibili, di miti, di accoglienti, quasi sempre poveri e privi di ogni potere, insubordinato all’autoreferenzialità dell’io e alle mille sacrileghe rappresentazioni di Dio che ne sono la proiezione, figlio di una promessa pasquale: voi erediterete la terra!

Se recuperiamo acutezza e onestà di sguardo, lo capiamo che hanno ragione loro. Hanno sempre avuto ragione loro, e torto i loro oppressori: la vita, che incorporiamo a partire dall’altro, prorompe, si propaga e si moltiplica attraverso i legami e le relazioni, mentre si interrompe e avvizzisce quando i legami sono recisi.

Non c’è altro modo di ereditare la terra e conservare la vita che custodendo i legami, ma questo esige mitezza, estroversione, accoglienza, abbandono, disponibilità: «Vi pare piccola rivoluzione», scriveva il filosofo Italo Mancini,«se il baricentro del mondo va dall’io all’altro, uno stare faccia a faccia, una comunità di volti, dove il diritto dell’altro verso di me va pensato senza reciprocità, ossia senza il diritto mio di fronte all’altro?».

Auguri amiche e amici di una Pasqua così carica di sovversione da essere Pasqua di resurrezione!

E continuiamo a cercare la vita, insieme.

Con affetto,

Antonio Finazzi Agrò, presidente de La Nuova Arca